mercoledì 2 dicembre 2009

Come Roma Ci Fa Sentire

[Avviso: Normalmente cerco di trovare una citazione in cui uno straniero parla degli Italiani. Ma ho trovato queste due che mi hanno colpita. Parlano di Roma, non degli Italiani. . . . e vorrei presentarle qui.]


(1)
Cinquantacinque anni fa, in "Rome and a Villa," ("Roma ed una Casa"), la romanziera Eleanor Clark ha scritto dell'esageratezza di Roma, e sento che lei ha ragione mentre sto in piedi ai secchioni e guarda il vapore del respiro che galleggia via: Il Fontanone è diritto davanti, al di sotto del quale c'è la città delle favole, ma vedo solo fanghiglia e pezzi di vetro rotti. Troppa bellezza, troppi input; se non fai attenzione, puoi andare in overdose.


Doerr, Anthony. Four Seasons in Rome: On Twins, Insomnia, and the Biggest Funeral in the History of the World. n.p.: Scribner, 2008. Pagine 103.


Fifty years ago, in Rome and a Villa, the novelist Eleanor Clark called it the "too-muchness" of rome, and I feel she's right as I stand at the dumpsters and watch the vapor of my breath float away: the Fontanone is straight ahead, the fabled city below that, but all I see is sludge and broken glass. Too much beauty, too much input; if you're not careful, you can overdose.


(2)
Un marito sta spiegando a sua moglie perchè non si era sentito bene la notte precedente:

“. . . . Il passato qui [a Roma] è così . . . troppo. Così complicato. Mi disturbava anche che le mie scarpe mi facessero male.”
“Darley, è Roma. Dovresti essere contento.”

Updike, John. Twin Beds In Rome. Originally published in The Early Stories, 1953-1975. Republished in: Cahill, Susan Neunzig. The Smiles of Rome: A Literary Companion for Readers and Travelers. New York: Ballantine Books, 2005. Pagine 220.

“. . . .The past here is so . . . much. So complicated. Also, my shoes hurting bothered me.”
“Darley, it’s Rome. You’re supposed to be happy.”



Leggo sempre con una penna in mano per sottolineare le cose che mi interessano e scrivere alcuni appunti nei margini. Ho sottolineato questo testo di Doerr perchè mi è sembrato molto familiare. Descrive un panorama che ho visto spesso nel mio primo anno vivendo qui: il Gianicolo, uno dei più bei di Roma. Qualche volta mentre stavo vedendo questa splendida vista, ero anche scomoda e scoraggiata: ero incinta di 6-9 mesi, avevo aspettato l’autobus 870 in via Giacinto Carini per 5-45 minuti (45 più di 5), spesso sotto la pioggia nel buio dell'inverno tipico di europa, con la mia figlia che aveva sei anni e che non voleva camminare ed aspettare per un secondo autobus dopo scuola. Capisco bene la sensazione che Doerr descrive qui.

Ma quando ho provato a commentarla per il blog . . . non sono riuscita a farlo. Si, c’è il senso di essere travolta da Roma, dalla sua storia, età e bellezza, così troppo che mi sento obbligata a vedere solo i suoi brutti dettagli quotidiani, come la fanghilia ed i pezzi di vetro rotti di Doerr, o, per me, la pioggia nel buio e gli auotobus che spesso sembrano non arrivare mai. Ma questo non bastava.

Quando ho letto la citazione di Updike, ho trovato la cosa che mi ho sentita mancante. Come ha fatto Doerr, prima, Updike parla dell’esageratezza di Roma. Poi, come Doerr, parla delle cose molte ordinarie, sgradevoli e quotidiane: delle scarpe che gli fanno male. Doerr ha finito insinuando che Roma presenta una sfida: Potete sentire la realtà di questa città senza sentirvi travolti? Ci mette in guardia della belezza che porterebbe ad un overdose.

Ma nella citazione della novella di Updike, la moglie riprende suo marito “Dovresti essere contento” qui. Non è accettabile essere infelice a Roma. E per me questa ha completato il pensiero che Doerr ha cominciato. C’è una responsibilità, un senso di colpa, quando sei una straniera perchè sei fortunata di essere qui a Roma, una mitica città così ricca. Quanta gente nel suo paese vorrebbe essere qui? Vedere la sua bellezza, storia, ecc? E tu le ignori e vedi solo le cose brutte, o pensi alle cose che fanno male, come le scarpe? Si, si, vivere qui non è sempre facile. Ma quando diventa difficile, c’è questo senso di vergogna. Mi chiedo se è così anche quando sei romano . . . .

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