giovedì 18 marzo 2010

L'assurda idea moderna che il compito di un ristorante è nutrire a richiesta i passanti fortuiti

Mentre aspettiamo di essere chiamate, due nuovi clienti arrivano; due villeggianti per il weekend che si sono allontanati dalla costa, a giudicare dalla mancanza su di loro di spago e fazzoletti annodati. Si: Il loro handicap linguistico li fa scoprire. Si rivolgono a Luigi in Italiano. Ordinano anche del vino bianco frizzante e delle olive: l’aperitivo classico. Proveranno ad insinuarsi nella sala da pranzo di Maria? Sono, come noi eravamo solo poche settimane fa, innocenti sul fatto che i nostri ristoratori non si interessano per niente all’assurda idea moderna che il compito di un ristorante è nutrire a richiesta i passanti fortuiti? Speriamo; e giudicando dal silenzio di attesa che è calato tra i giocatori di carte riuniti, così sperano anche gli altri.

Attirati dal tintinnio dei coltelli e delle forchette, il ronzio basso di chiacchiere di compagnia mentre mangiano, i profumi di cucina che fanno venire l’acquolina in bocca, di tanto in tanto un gruppo di quegli stranieri ignoranti entrano sicuri pensando che hanno trovato il ristorante di campagna delizioso che cercavano: il buon cibo dei contadini, i piatti locali e tradizionali, delle specialità di produzione locale fresche dal giardino vegetale. Hanno ragione, ovviamente. Maria è contenta di nutrire chiunque dia un preavviso con piatti deliziosi ed autentici senza fine, con un’abbondanza terrificante e un’insistenza grande, come sappiamo a nostre spese. Ma il dettaglio del preavviso è fondamentale.

Maria ti dirà che dare un giorno di preavviso è semplice cortesia se ti aspetti di ricevere un pasto decente. O una mattina, perlomeno. Lei ha molto da dire su questo argomento, e tutti non vedono l’ora di sentir dirglielo ancora.

‘E possibile, chiederà, che le vite dei stranieri possono essere così prive di senso e caotiche che non possono prevedere da un giorno all’altro dove e come mangeranno? Non hanno nessun rispetto per i loro ospiti, che dovranno improvvisare qualcosa vergognosa da qualunque cosa c’è in giro, ed impedirgli di dimostrare in pieno la virtuosità della loro cucina? A meno che , certo, non vogliono della pasta dai pacchi, un sugo fatto con pomodori in scatola: in questo caso non hanno nessun rispetto per i loro stomaci, e sono venuti nel posto sbagliato. Le sue povere affamate vittime usciranno furtivamente con una pulce nell’orecchio, o si accorderanno per ritornare domani con un appuntamento --- preferibilmente dopo che si sono seduti per una chiacchierata civile su quello che è disponibile, cosa è di stagione, e quale preparazione preferiscono. Come la gente normale. Un gioioso ridacchiante commento in dialetto scoppierà non appena escono dalla porta. Guardare la gente che si crede superiore perdere la faccia, fare una brutta figura, come si dice qui, è uno sport nazionale: e vergognosamente, non possiamo trattenerci dall’essere impazienti di, con tutti gli altri nel bar, portare testimonianza del disagio dei stranieri.

Ormai, abbiamo capito che non siamo piu straniere della gente che viene dalle altre parti d’Italia; anche loro sono annoverati come stranieri, nè possono parlare la lingua locale, e facilmente sono così degni di essere guardati in cagnesco come noi. Le persone da Milano o Torino, o qualunque degli altri paesi e città delle pianure alte e ricciose del nord, non sono solo stranieri ma anche ‘gente de pianüa’, in dialetto. Detta con i giusti toni del disprezzo fulminante, questa frase transmette tutto quello che un laborioso agricoltore della collina rimasto sempre a lottare contro diluvio e siccità, con i muri crollanti dei campi errazzati e con gli ulivi ricalcitranti, vorrebbe dire su quei ricchi e pigri buoni a nulla ricci e pigri che vivono una vita facile perdendo tempo in uffici o fabbriche, o coltivando quella terra piatta e fertile in cui non devono quasi mai sollevare una zappa. La gente, infatti, che non ha mai fatto un giorno di duro lavoro in tutta la sua vita. Per di più, tra i raccolti che crescono così con aria compiaciuta e con facilità lassù sulla pianura trovi -- si -- ettaro dopo ettaro dei girasoli. ‘E una magra consolazione per i nostri ospiti argricoltori delle olive a San Pietro dove fa sempre freddo, è piovoso e nebbioso sulla pianüa, e i suoi abitanti devono viaggiare fino qui giù per acchiappare dei raggi di sole solitari. Ma non una consolazione eccessiva: evidentemente hanno risorse per pagare i loro viaggi.

Si! Il povero insensato di gente della pianura portando una giacca alla moda di pelle scamosciata chiede la cena a Luigi. Dovranno chiedere alla sua moglie, dice Luigi, recitando alla platea. La gente di campagna batte in astuzia i compiaciuti cittadini sofisticati. Purtroppo, proprio mentre Maria arriva, asciugando le mani sul suo grembiule in maniera efficiente, e l’intrattenimento sta per cominciare, il piccolo Stefano appare per chiamare, noi degli ospiti privilegiati, nella sala da pranzo. C’è un pò di appagamento dato dall’esibire il nostro facile accesso al regno di Maria, e facciamo un’uscita maestosa. Ma ci perdiamo il divertimento: possiamo appena sentire la voce di Maria da qui.

Quando lei riappare per riprendere con accuratezza la distribuzione dei diecimilla antipasti, uno dei nostri compagni portando il fazzoletto annodato sulla testa, mentre siamo già sorridenti in attesa, chiede “I stranieri?”

“Ritornano domani per pranzo, certamente,” risponde Maria frettolosamente.

Hawes, Annie. Extra Virgin: Amongst the Olive Groves of Liguria. London: Penguin Books Ltd, 2001. (page 36-39)

As we wait to be called through, two new customers arrive; a pair of weekend holidaymakers straying in from the coast, to judge by the lack of string and knotted hankies about their persons. Yes: their linguistic handicap gives them away. They are addressing Luigi in Italian. And they are ordering sparkling white wine and a dish of olives: the classic pre-dinner aperitivo. Are they going to try to insinuate themselves into Maria’s dining room? Are they, like us only a few weeks ago, innocent of the fact that our hosts will have no truck with the foolish modern notion that the job of a restaurant is to feed casual passers-by on demand? We hope so; and judging by the expectant silence that has fallen among the assembled card-players, so does the rest of the company.

Lured by the clatter of knives and forks, the low hum of companionable eating-chat, the mouth-watering cooking smells every now and then a bunch of these ignorant strangers will walk confidently in thinking they have found the delightful country restaurant they were looking for: good peasant food, traditional local dishes, home-grown specialities fresh from the vegetable garden. They’re right, of course. Maria is happy to feed anyone who’s given her a bit or warning with endless deliciously authentic dishes, in terrifying abundance and with great insistence, as we know to our cost. But the bit of warning is vital.

Maria will tell you that it’s simple politeness to give a day’s notice if you’re expecting to be fed a decent meal. Or a morning at the very least. She has much to say on the topic, and everyone is looking forward to hearing her say it again.

Is it possible, she will ask, that the lives of stranieri could be so senseless and chaotic that they are unable to predict from one day to the next where and how they will be eating? Do they have no respect for their hosts, who will have to improvise something shameful from whatever’s lying around, and be hindered from demonstrating the full range and virtuosity of their cooking? Unless, of course, they want pasta out of packets, sugo made with tinned tomatoes: in which case they have no respect for their own stomachs, and have come to the wrong place. Her poor starving victims will slink out with a flea in their ear, or agree meekly to come back tomorrow with an appointment - having preferably sat down for a civilized chat about what is available, what is in season, and how they like it prepared. Like normal people. A gleeful cackling commentary in dialect will break out the second they are out of the door. Watching persons who think themselves superior losing face, making a brutta figura as they call it here, is a national sport: and shamefully, we can’t help but look forward, along with the rest of the bar, to witnessing the discomfiture of the strangers.

We have understood by now that we are hardly any more foreign than people from other parts of Italy; they also count as stranieri, can’t speak the local tongue either, and are easily as glower-worthy as us. People from Milan or Turin, or any of the other towns and cities of the rich high plains to the north, are not just stranieri but Plainsfolk, into the bargain ‘gente de pianüa’ in dialect. Said in the right tones of withering scorn, this phrase conveys everything a hardworking hill-farmer locked in constant struggle with deluge and drought, with collapsing terrace walls and recalcitrant olive trees, might wish to say about rich lazy good-for-nothings who live a life of ease messing about in offices or factories, or farming that flat fertile land where you hardly have to lift a hoe. People, in fact, who have never done a day’s hard graft in their lives. Furthermore, among the crops that grow so smugly and effortlessly up there on the plains you will find -- yes -- hectare upon hectoare of sunflowers. It is some slight consolation to our olive-farming hosts in San Pietro that it is always cold, rainy and foggy on the pianüa, and its inhabitants have to travel all the way down here to catch the odd ray of sunshine. but not that much of a consolation: evidently, they can afford their travel.

Yes! The poor sap of a Plainsman in the stylish suede jacket is asking Luigi about dinner. They will have to ask his wife, says Luigi, playing to the gallery. Simple country folk outwit smug city slickers. Alas, just as Maria arrives, wiping her hands in a businesslike manner on her apron, and the entertainment is about to begin, little Stefano appears to call us privileged guests away to the dining room. There is a small amount of satisfaction to be got from showing off our easy access to Maria’s domain, and we make a majestic exit. But we’re missing the fun: we can only just hear Maria’s voice from in here.

The strangers? asks one of our hanky-headed companions, already grinning in anticipation, when she appears to take over the doling out of the ten thousand antipasti.

Coming back tomorrow for lunch, of course, replies Maria briskly.

Questa citazione è una delle mie favorite. Ho letto questo libro durante il mio primo o secondo anno abitando qui in Italia. Prima, non mi ero accorta che si era sviluppata in me una percezione del cibo per lo più come un tipo di divertimento, un’arte ed una cosa culturale e non principalmente come una parte importante di una vita sana, della salute del corpo. . .una necessità ed una responsabilità.

La cucina italiana è amata globalmente. Ma penso che normalmente quando i stranieri parlano di essa pensano ad un elenco di piatti, o forse un pasto (con un primo, un secondo ed un contorno). Secondo me, per capire la cucina italiana bisogna pensare a più di un piatto, un pasto o anche del menu per un giorno. Ci sono delle regole per mangiare che cambiano secondo il tempo (la stagione dell’anno, l’ora del giorno), a cosa si è mangiato prima e a cosa si mangerà dopo, l’età (panino con nutella per i bambini, non per gli adulti), etcetera etcetera. E penso che bambini e ragazzi imparino queste regole senza cognizione di averlo fatto. Mi ricordo bene quando mia figlia aveva 8 anni e mio marito è andato con lei ed una sua amichetta italiana a pranzo al ristorante dopo che eravamo rientrati a Roma in settembre. L’amica ha chiesto a mia figlia che cosa volesse mangiare. Siccome eravamo stati due mesi in Turchia e a lei mancava la pasta, mia figlia voleva spaghetti alla carbonara. L’amica italiana era un po’ sorpresa: Con questo caldo? Troppo pesante! Mio marito era impressionato, non solo perché una ragazza di 8 anni sapeva così bene le regole per mangiare in un modo sano e corretto secondo la cultura italiana, ma anche perché lei sapeva come sistemare il menu in modo da poter mangiare i spaghetti alla carbonara in settembre. “Allora, facciamo così: condividiamo una porzione della pasta e poi prendiamo solo le fragole per dolce. Okay?”

Secondo le mie osservazioni il cibo e il mangiare sono presi sul serio. Non è una cosa che riguarda sopratutto i soldi, l’innovazione, il divertimento e sicuramente non deve riguardare la comodità o l’efficienza. Per mangiare bene non è come a New York dove, secondo me, il miglior cibo si trova a ristorante. Credo che qui a roma il cibo migliore è a casa. Mi ricordo bene quando ho visto dei pomodori bellissimi dal fruttivendolo di mattina e per questo a pranzo ho ordinato un’insalata con pomodori: mi sono sorpresa del fatto che i pomodori non sembravano essere della stessa qualità di quelli della mattina. Secondo me, a NY il meglio della produzione agricola va ai ristoranti, mentre qui a Roma va alle case. Allora, l’ideale cena o pranzo, se non a casa tua sarebbe a casa di qualcuno che cucina bene. E questo è come fa Maria in questacitazione. Quando i villeggianti “ritornano domani per pranzo” saranno più come ospiti, e non come clienti casuali.

Questo citazione mi aiuta anche a capire perché, quando i bambini escono da scuola prima di pranzo e ci sono tanti genitori di fronte alla scuola per prenderli, quasi nessuno di loro va a pranzo nei ristoranti lì intorno. Come New Yorkese ero confusa: tutti vanno a casa in fretta per mangiare un pasto caldo che li aspetta? Ma, nessuno vuole mangiare qui immediatamente? Forse non ci sono dei ristoranti buoni . . . e in questo caso sarebbe un’opportunità persa per i commercianti. Ma dopo poco mi sono accorta che no, questo è un punto di visto molto americano. Questi bambini possono rimanere a scuola per pranzo ogni giorno. Se una famiglia decide di prendere il bambino per pranzo, è per un bel pranzo a casa con la famiglia, e non per un cibo fuori probabilmente di una qualità inferiore ma allo stesso tempo più cara di quello che c’è a casa. In questo caso potrebbero mangiare a scuola!

Infatti, noi ci siamo adattati. Non mangiamo fuori così tanto come prima. Poi, quando lo facciamo scegliamo una cosa non appartiene alla cucina italiana, come sushi, o una cosa che è spesso migliore fuori che a casa, come la pizza.

Questo mi fa pensare ad un discorso di Jamie Oliver che ha fatto recentemente sul problema dell’obesità negli stati uniti e anche globalmente. Ha usato un diagramma delle tre cose centrali per capire il problema: (1) La Gente, non cuoce a casa da due o tre generazioni e allora la cultura della cucina si è persa; (2) Le Scuole, per lo più i bambini e ragazzi mangiano uno o anche due pasti ogni giorno a scuola e il cibo che le scuole danno sono inferiori in ogni senso; (3) La Via Principale (“main street”), il cibo del fast food fa male a tutti coloro che ne mangiano spesso.

Secondo quello che dice Jamie Oliver due punti molto molto importante per combattere questo problema dell’obesità che sta diventando non solo un problema americano (anche se facciamo la guida) ma mondiale, sono che i ragazzi non mangiano a casa e mangiano troppo di fast food. Ma qui in Italia la maggior parte dei bambini e ragazzi pranzano a casa. Inoltre, non ci sono cosi tante scelte per fast food, come negli stati uniti ed Inghilterra.

Non voglio esagerare. Nuovi Di Per Di appaiono improvvisamente sempre qui nel centro di Roma, e anche nuovi negozi che io chiamo “McForni” in cui ci sono tante cose che dovrebbero essere lievitate nel modo giusto (ma non lo sono) e poi cucinate nel forno vero (ma non lo sono). Ma forse queste cose vanno avanti più lentamente qui, e qualche volta anche indietro: ho sentito solo una volta che una protesta della gente è riuscita a far chiudere un McDonalds, ed è successo qui, in Italia!

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